La strana caccia al tesoro dell’esperta italiana di virus


Ilaria Capua
(Roma, 1966) è una virologa e veterinaria italiana. Se in campo puramente scientifico ha contribuito in maniera determinante alla comprensione della influenza aviaria, il suo più grande contributo si è avuto nello sviluppo della cosiddetta scienza open-source con la sua decisione di rendere pubblica la sequenza genetica del virus dell’aviaria nel 2006. Per questo Seed l’ha eletta “mente rivoluzionaria” ed è entrata fra i 50 scienziati top di Scientific American. (da wikipedia)

Ilaria Capua riceve il Penn Vet Leadership Award in Animal Health all'Università della Pennsylvania

Ilaria Capua insieme a Paul Gibbs, Professore di virologia dell'Università della Florida, durante la cerimonia di premiazione

Premiata lo scorso settembre con il prestigioso Penn Vet Leadership Award in Animal Health dall’Università della Pennsylvania, Ilaria Capua è a capo del Dipartimento di Scienze Biomediche Comparate dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie. In una lunga chiacchierata, le abbiamo chiesto di parlarci dei vaccini, del loro uso, del lavoro del ricercatore e del futuro della ricerca. 


 

Perché è importante studiare i virus che colpiscono gli animali?

Per quanto riguarda le malattie infettive gli uomini si sentono molto diversi dagli animali ma in realtà per un virus o un batterio anche gli uomini sono animali, soltanto un altro ospite da attaccare. Oggi sappiamo che il 70% delle malattie che hanno minacciato l’umanità provenivano dal mondo animale: dall’HIV alla peste bubbonica (che veniva trasportata dai ratti), all’influenza. Gli animali possono albergare dei patogeni (agenti responsabili di malattie, come i virus ad esempio, ndr) che infettano anche le persone. Noi lavoriamo sia per tutelare la salute degli animali, sia per assicurarci che i prodotti di origine animale che arrivano sulle nostre tavole siano salubri. Lavoriamo, inoltre, nei paesi in via di sviluppo, per studiare le malattie che sono presenti nel serbatoio animale e che possono trasferirsi all’uomo con delle conseguenze anche molto serie.

 

Qual è l’importanza dei vaccini? Esistono vaccini inutili o pericolosi?

Noi due siamo qui ora a parlare perché i nostri genitori sono stati vaccinati e anche noi siamo stati vaccinati. I vaccini sono sicuri ed hanno avuto un ruolo importantissimo nel debellare le malattie infettive.

Consiglio ai ragazzi che ne volessero sapere di più sui vaccini la lettura di un libro di Lisa Vozza e Rino Rappuoli, “I vaccini dell’era globale”, edito da Zanichelli…un buon testo di divulgazione scientifica alla portata di tutti.

L’unica controindicazione legata ai vaccini è quella degli effetti collaterali, legati ad allergie od altro. Ma si tratta degli stessi fenomeni che interessano gli altri medicinali, a partire da quelli di uso più comune. Quindi mi sento di dire che i vaccini sono sicuri e devono essere utilizzati perché i virus che si diffondono in popolazioni non vaccinate, scoperte da un punto di vista immunitario, diventano più aggressivi.

Consiglio anche la visione del film Contagion per capire i meccanismi della diffusione di un’epidemia e degli incidenti di percorso che possono avvenire mentre si cerca di arginarla. Io ho portato tutti i ragazzi del laboratorio a vederlo, è un film fatto molto bene e utile per saperne di più.

 

Come saranno i vaccini del futuro? Ci proteggeranno dai tumori e dall’HIV?

In questi campi si stanno facendo dei grandi passi in avanti. Esistono dei tumori che sono provocati da virus e per quelli già esiste il vaccino. In particolare, si sta cominciando ad affrontare il tema dei tumori con un approccio immunologico: fare produrre all’organismo anticorpi contro quel determinato tumore. Questo l’ha fatto, peraltro, l’ultimo Premio Nobel per la medicina, Ralph Steinman, morto per un tumore al pancreas pochi giorni prima di ricevere il premio.

La scienza ha fatto dei progressi straordinari nel campo delle malattie infettive. All’inizio del secolo, quando è emerso il virus della spagnola, non avevamo né vaccino né antibiotici e il virus ha causato un’epidemia grandissima, con 20 milioni di morti. Adesso siamo su un altro pianeta. E’ ovvio però che i cittadini devono fare quello che gli viene chiesto di fare: se il vaccino è disponibile lo devono usare.

 

Esiste un problema di percezione dell’importanza dei vaccini legato al sistema dell’informazione?

Io penso che ci siano, di tanto in tanto, delle “derive verdi” che portano avanti delle campagne contro i vaccini, dicendo che le aziende farmaceutiche sono delle “associazioni a delinquere”. In realtà le aziende farmaceutiche non sono enti no-profit e sono dunque orientate al profitto. Che l’azienda farmaceutica ci guadagni dalla vendita dei vaccini è normale. Il fatto che non vengano messi in commercio prodotti che non servono è garantito da organismi ufficiali come l’EMEA (European Medicines Agency, europea) o la FDA (Food and Drug Administration, americana). Queste derive sono semplificazioni del problema, alimentate spesso dalle teorie del complotto.

 

E la scelta di acquistare grandi quantità di vaccini fa sempre parte di una strategia di prevenzione?

Due anni fa, quando il virus dell’influenza suina è emerso dal serbatoio animale, ha cominciato ad infettare le persone e nel giro di una settimana ha fatto il giro del mondo, noi non potevamo sapere quanto fosse aggressivo. E siccome per fare il vaccino ci vogliono sei mesi, occorre muoversi per tempo. Acquistare i vaccini è una misura precauzionale necessaria che lo Stato deve adottare nell’interesse del cittadino, che deve essere messo nelle condizioni di proteggersi. E’ un po’ come pagare i pompieri o l’assicurazione. Non possiamo non pagare i pompieri perché casa mia non brucia.

Poi comunque il cittadino fa quello che gli pare. E comunque in quell’occasione sono morte delle persone e anche dei bambini, che per me è una cosa inaccettabile. Se il virus fosse stato aggressivo noi l’avremmo visto sul campo e se tu dai il via alla produzione troppo tardi il vaccino sarebbe arrivato un anno dopo, troppo tardi, a pandemia avvenuta.

 

Lei è famosa, tra le altre cose, per aver reso pubblico nel 2006 il codice genetico del virus dell’aviaria, scegliendo di non depositarlo in un database ad accesso limitato. E’ una scelta in contraddizione con il precedente riferimento alle aziende farmaceutiche e il loro diritto al profitto?

Nel 2006 c’era una grande preoccupazione per il virus dell’aviaria e a mio avviso bisognava lavorare tuti insieme e quando mi fu chiesto di depositarlo in un database al quale potevano avere accesso soltanto 15 laboratori, io mi rifiutai. Come possiamo permettere solo a 15 ricercatori di lavorarci quando ce ne sono centinaia in giro per il mondo? Io non me la sono sentita, considerato il pericolo della possibile pandemia. Questo ha dato il là ad un dibattito molto ampio sulla trasparenza dei dati. Ancora adesso sono coinvolta nelle attività per rendere i dati sui patogeni più trasparenti possibili. E’ necessario condividere i dati in tempo reale se c’è una reale minaccia globale, emergente e immediata. Non possiamo aspettare perché i virus mica aspettano. I virus utilizzano i mezzi di trasporto moderni come gli aerei. E’ importante utilizzare la tecnologia della rete per integrare le conoscenze e i dati. Il lavoro di ognuno di noi si costruisce sulle scoperte dell’altro.

 

La ricerca è adeguatamente sostenuta?

In Italia è noto che per la ricerca si è sempre speso poco. E’ vero però che la maggior parte dei fondi con cui viene effettuata ricerca nel mio laboratorio sono fondi europei, americani, internazionali in genere. Soltanto una piccola quota dei finanziamenti viene dall’Italia. Se uno genera dati realmente competitivi i soldi li trova. Sarebbe meglio che i soldi fossero disponibili dall’Italia, per dare al nostro paese la visibilità di un’eventuale scoperta. Ma a mali estremi, estremi rimedi.

 

Consiglierebbe il lavoro di ricercatore ad un giovane studente italiano?

Perché no, però bisogna uscire dalla mentalità italiana. Oggi l’italiano, purtroppo, vuole restare vicino casa e questo lo penalizza. Oggi un giovane laureato vuole fare il dottorato nella stessa università e invece bisogna muoversi, in Italia e all’estero. La vita del ricercatore è una vita di conoscenza e quindi per antonomasia non deve essere una vita immobile ma dinamica. Mi sento di dire anche che la ricerca non è per tutti. E’una vita faticosa che ti chiede di muoverti, di metterti in discussione, di cambiare completamente attività perché magari in quel campo lì non ci sono più fondi. Prevede quindi una determinazione, un dinamismo, un’elasticità che non tutti hanno.

 

Cosa le piace di più del suo lavoro?

Il fatto che il mio lavoro soddisfa un sacco di curiosità. Io sono una persona curiosa che cerca di capire i meccanismi che generano determinati effetti. E’ un po’ una caccia al tesoro, io la vedo così. Sulla base di indizi tu riesci ad arrivare a determinate conclusioni. Sono anche orgogliosa, poi, di avere un gruppo di 75 persone che fa ricerca ad un ottimo livello in Italia.

Per saperne di più, guarda il video sui virus prodotto da rai scienze in cui viene intervistata Ilaria Capua