Visita ai Santoni di Palazzolo Acreide
Vedi il cartello “Santoni” e pensi che ci sia un raduno di guru nei dintorni. E invece no, “Santoni” è il modo locale – e ormai tradizionale – per definire un santuario pressoché sconosciuto, unico in Europa, eretto nel terzo secolo avanti Cristo dedicato alla dea Cibele a Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa, comune inserito nel Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.
Interessante, direte voi, e chi era ‘sta dea Cibele? Era, direi, la dea più antica della storia, detta anche la Grande Madre (“Magna mater” in latino), del cui culto vi sono tracce in Asia Minore (Turchia) di quasi 8.000 anni fa, più vecchia degli antichi egizi, più dell’Olimpo greco, per non parlare delle religioni attuali. E come dea madre di tutto il creato senza bisogno di intervento maschile, era a suo modo una divinità unica, monoteista, da cui derivava tutto il resto, prima che le complicazioni umane rendessero complicati anche i rapporti fra dei.
Forse partiva dal semplice ed evidente mistero della maternità che crea vita, per dare il senso di tutto il creato. Fatto sta che era una donna, rappresentata seduta in trono, con un copricapo turrito, coperta da un velo, con due leoni ai piedi, circondata dai “coribanti”, i suoi sacerdoti che danzavano al ritmo di tamburi, flauti e cembali: riti antichi e selvaggi, fortemente legati alla natura, che oggi forse ci farebbero più pensare a danze tarantolate che a funzioni religiose. I suoi santuari consistevano generalmente nella ripetizione in varie forme della sua immagine scavata nella roccia, l’elemento della dea, in luoghi impervi.
Dall’Asia Minore il culto giunse in Grecia (pare che sotto diversi nomi si celasse sempre lei, e c’è chi ne fa arrivare l’eco del culto popolare fino alla Vergine Maria), e da lì portato a macchia di leopardo lungo le coste del Mediterraneo, fino a radicarsi, chissà come, nelle gole tufacee e suggestive di questo entroterra siciliano, a una quarantina di chilometri dalla più splendente Siracusa, ad Akrai, l’antico nome di Palazzolo Acreide, che era una città importante già allora, col suo bel teatro greco, i templi, le strade e il commercio.
Non si sa come, ma di tutto questo si perde la memoria per un millennio abbondante, fino al 1771, quando saltano fuori questi 12 bassorilievi scavati nella roccia, uno vicino all’altro, nell’arco di 30 metri. Chi pensa a rappresentazioni funerarie, chi a divinità greche, fino a che uno studioso (Conze, nel 1893) capisce che si tratta proprio di Cibele, e si inizia a ricostruire il senso delle figure rappresentate con diversi personaggi intorno, persino i leoni erano stati scambiati per cani. Evidentemente lo stato di conservazione non doveva essere proprio eccellente, ma era solo l’inizio: pare che i contadini della zona non apprezzassero particolarmente tutto il via vai di curiosi e studiosi sui propri campi, per cui pensarono bene di prendere a picconate alcune di queste figure.
Il risultato di tutto questo è desolatamente evidente quando si va a visitare questo luogo unico e suggestivo: devi metterti d’accordo con i custodi della zona archeologica per farti aprire il cancello, e poi ti trovi davanti a queste “edicole” con sbarre di metallo, create per proteggere le opere ma con l’effetto di tagliuzzare la visuale in righe verticali. Quello che potrebbe essere il santuario della divinità più antica del mondo sembra un deposito di legname in un angolo di terra incolta. Aspettiamo speranzosi che si avveri il progetto di riqualificazione del sito archeologico, e intanto vi consigliamo di farvi ipnotizzare da queste statue maltrattate e cosi potenti.