La prossima volta che lasciate la bustina delle patatine fritte in giro (ma sono sicuro che nessuno di voi lo fa) pensate al Texas. Perché proprio il Texas? Per due ragioni: la prima è che la plastica utilizzata per confezionare le gustose patatine è un derivato del petrolio, di cui lo Stato americano della Stella Solitaria è un gran produttore; la seconda è che esiste nell’Oceano Pacifico (ma anche nel vicino Atlantico, purtroppo) una sorta di “isola galleggiante di spazzatura” (prevalentemente plastica) la cui estensione potrebbe essere, secondo recenti stime, da una a due volte quella del Texas. Queste “schifezze” sono composte da un’infinità di detriti di oggetti d’uso comune, che una volta terminato il loro compito, se non vengono raccolti e smaltiti secondo le regole, finiscono nei posti più impensabili del nostro martoriato pianeta. Tali ammassi si formano in corrispondenza di correnti oceaniche circolari che hanno un moto a spirale attorno ad un punto centrale, in senso orario nell’emisfero settentrionale e in senso antiorario nell’emisfero meridionale. Nel mondo ci sono cinque grandi correnti oceaniche di questo tipo: due nel Pacifico, due nell’Atlantico e uno nell’Oceano Indiano. E quasi ognuna di queste nasconde al suo interno il proprio “molesto tesoro”.
L’isola di spazzatura più conosciuta, che in realtà non assomiglia affatto ad un isola, si chiama Great Pacific Garbage Patch (Grande Chiazza di Immondizia del Pacifico). Possiamo immaginarla come una zuppa, in cui si possono vedere i “vegetali” galleggiare. In questo caso i vegetali sono i detriti di plastica, spesso molto piccoli, che galleggiano o che sono sotto la superficie, inquinano gli oceani e vengono mangiati e assimilati da tutte le creature marine. La maggior parte di questi detriti non è più grande di un dente o di una graffetta di quelle che si usano a scuola. Soltanto che la loro concentrazione è veramente notevole: in un chilometro quadrato se ne possono trovare anche 200.000 nell’Atlantico e fino a 750.000 nel Pacifico.
Uno degli effetti peggiori di tutto ciò è che, come afferma un recente studio pubblicato sulla rivista Marine Ecology Progress Series, la plastica sta rapidamente diventando un importante elemento alimentare per i pesci che vivono nel nord dell’Oceano Pacifico. Gli autori dell’articolo, dal titolo “L’ingestione di plastica da parte dei pesci mesopelageci del Vortice Subtropicale del Pacifico del Nord”, stimano che ogni anno questi pesci (che vivono tra i 150 e i 1000 metri di profondità) ingoino dalle 12.000 alle 24.000 tonnellate di plastica, che finiscono così in una più ampia catena alimentare che comprende anche l’uomo.
Considerata l’importanza del problema, questi fenomeni, scoperti circa venti anni fa, sono costantemente studiati e tenuti sotto osservazione. Una delle ultime spedizioni è stata quella alla quale ha partecipato il giornalista e ambientalista australiano Tim Silverwood che, quest’estate, si è imbarcato sulla nave Sea Dragon per una missione oceanografica condotta dall’associazione Pangea Exploration che ha monitorato lo stato delle acque di buona parte dell’Oceano Pacifico. Il racconto di questo viaggio, lungo 5000 km, è molto triste. Tim Silverwood è stato testimone di eclatanti casi di inquinamento del mare e delle coste. Ad esempio, insieme ad un gruppo di volontari, Tim ha raccolto più di una tonnellata di detriti sulle spiagge delle Hawai.
Il giornalista chiama questo suo viaggio “l’odissea dell’inquinamento da plastica” e racconta i danni all’ambiente e ai suoi abitanti che gli esseri umani riescono a fare anche in posti completamente disabitati e isolati, come atolli e isolette sparse in mezzo all’oceano. Ecco, ad esempio, la situazione sull’atollo di Midway, a nord delle Hawaii, documentata dal fotografo e film maker Chris Jordan.
MIDWAY : trailer : a film by Chris Jordan from Midway on Vimeo.
Ma c’è anche una buona notizia. Tutta la plastica si può riciclare e riusare più volte. L’azienda americana Method Products Inc. di San Francisco, specializzata in prodotti ecologici per la casa, ha presentato proprio e settimane fa la sua ultima “invenzione”: una bottiglia prodotta con detriti di plastica presi dall’oceano. L’obiettivo finale dell’azienda, molto condivisibile, è quello di risolvere il problema dell’inquinamento da plastica attraverso il riutilizzo e il riciclaggio della plastica che è già sul pianeta, anche nei mari. Quindi, d’ora in poi i profumi, i detergenti e i saponi prodotti dall’azienda potranno essere venduti in questo tipo di bottiglie riciclate, a beneficio dell’ambiente, del nostro futuro e di quello delle giovani generazioni. E poi vuoi mettere lavarsi i capelli con lo shampoo al profumo d’oceano?
Ps. Per chi non se ne fosse accorto: l’immagine in alto è quella disegnata da Giulia M. della scuola media “Tino Buazzelli” di Frascati, vincitrice della prima edizione del Concorso “Illustra l’articolo”
Ho visto le immagini e sono veramente raccapriccianti. Siamo sommersi dai rifiuti e spesso sembra che la cosa lasci indifferenti.